RIFLESSIONI SUL CORSO 2011/12

Il progetto "Memorie urbane e mappe digitali"


  Il progetto si propone di incrementare la conoscenza e la capacità di utilizzo di alcune applicazioni presenti nella rete (in particolare Google Maps di cui si è realizzata anche una guida esplicativa scaricabile qui) e di offrire agli adulti che frequentano l'UNITRE uno strumento per ricostruire ambienti, memorie, esperienze passate della città di Pavia che possono testimoniare e raccontare le principali trasformazioni urbanistiche, culturali e sociali di cui sono stati a volte testimoni a volte protagonisti. Il prodotto finale consiste nell’inserimento su una mappa digitale della città di fotografie e filmati in cui non solo viene raccontato il passato della città, ma si formulano proposte per il suo sviluppo attuale e futuro, affiancandosi così all'approccio tipico delle mappe di comunità di cui ci occuperemo seppur brevemente nel prossimo paragrafo. 
Quest'anno l'attenzione si è focalizzata sul fiume Ticino, nel tratto compreso tra il ponte dell'Impero e l'ormai decaduto idroscalo. Da una proficua e intensa partecipazione, anche emotiva, delle persone coinvolte, si è infine giunti alla rappresentazione di una mappa digitale descrittiva di alcuni dettagli ritenuti dai corsisti di rilevanza urbana, nei quali emergono tratti fortemente distintitivi del luogo, ma anche elementi ormai abbandonati alla brutalità delle generazioni che non hanno saputo prendersene adeguatamente cura. A corollario della mappa sono stati effettuati anche tre cortometraggi che corroborano l'intero lavoro di ricerca iconografica e bibliografica. La realizzazione dei video, inoltre, ha permesso ai partecipanti di acquisire una prima forma di conoscenza nell'utilizzo degli strumenti di ripresa e di alcuni aspetti della gestione digitale delle immagini.
  Le lezioni, tenutesi durante primi mesi del 2012, hanno visto la presenza costante di dieci corsisti a fronte delle 15 iscrizioni previste. Alcune di queste sono state svolte lungo il Ticino, sede di numerose discussioni e generoso nell'offrire ai presenti spunti per nuove riflessioni. Le uscite hanno confermato ciò che in aula s'era da subito manifestato, ovvero un sincero coinvolgimento per le sorti di un luogo che seppur sfuggevoli a sguardi distratti hanno mostrato agli occhi dei partecipanti le sue aporie e le sue debolezze. Da questa consapevolezza è sorta anche una necessità di sviluppare in un prossimo futuro una possibile declinazione della mappa emotiva realizzata durante questo corso, che possa presentarsi quale guida per una nuova modalità di porsi nei confronti di un luogo che, in quanto tale, è patrimonio comune e le cui possibilità di informare di sé le generazioni a venire devono necessariamente poggiare sulla consapevole e approfondita conoscenza dei luoghi da parte della comunità che li abitano. A testimonianza dell'interesse che tale argomento ha suscitato va ricordata la richiesta di avere una lezione aggiuntiva per sistemare i testi e visionare i video. Il lavoro è tuttavia proseguito mediante uno scambio fittissimo di mail tra tutti i partecipanti. Tutto quanto presente è frutto del loro impegno e della passione che dovrebbe animare chiunque si avvicini alla propria città con l'intento di prendersene amorevolmente cura.

  Inserire il backstage

Un approfondimento: le mappa di comunità*


 In Inghilterra, nei primi anni Ottanta del secolo scorso, l’associazione “Common Ground”[1], al fine di preservare i tratti culturali significativi dei propri paesaggi, sempre più ag­grediti dalle logiche uniformanti della contemporaneità, decise di impegnarsi nella valorizzazione delle identità locali attra­verso il coinvolgimento degli abitanti.
 Il grande merito dell’associazione inglese sta nell’aver ricono­sciuto, con largo anticipo rispetto all’attuale dibattito sul paesaggio, l’importanza di riconoscere i tratti distintivi del luogo, ossia quelle particolarità, impercettibili allo sguardo di­stratto, nelle quali si celano significati e memorie che non è possibile trascurare se non si vuole perdere l’identità immate­riale dei luoghi.[...]
  Il rischio di vedere oscurate definitivamente le specificità lo­cali di molti paesaggi, ha così motivato l’associazione Common Ground a promuovere attività e pratiche che prevedessero una rinnovata comprensione dei luoghi da parte degli abitanti.
  L’importanza di coinvolgere attivamente la popolazione nei processi di lettura e interpretazione dei propri contesti di vita rappresenta in tal senso un aspetto fortemente innovativo, che i fondatori dell’associazione inglese hanno saputo cogliere con largo anticipo rispetto al dibattito culturale a loro contempora­neo. Dobbiamo infatti ricordare che Common Ground avanzava queste proposte già al principio degli anni Ottanta, mentre il ri­conoscimento della loro validità dovrà essere fatto risalire alla presentazione ufficiale della Convenzione europea del paesag­gio avvenuta a Firenze nel 2000; uno dei principi che orienta­rono la stesura di tale documento legislativo prevedeva infatti la necessità di «incoraggiare la popolazione ad una attiva parteci­pazione nei processi decisionali relativi ai propri paesaggi»[2].
Molto spesso, sostiene Clifford, ci si rende conto della ric­chezza territoriale solo quando la sua sopravvivenza viene messa in serio pericolo da azioni speculatorie e irresponsabili. A volte tale consapevolezza raggiunge la coscienza degli abitanti quando ormai non v’è più possibilità di recuperarla.
Emerge così la necessità di rendere nuovamente intelligibile alla popolazione l’intero patrimonio culturale espresso nel pro­prio paesaggio, assumendosi la responsabilità tanto della sua cura quanto della sua trasformazione [...]
Da queste riflessioni sono sorte nell’associazione inglese do­mande a cui non si è mancato di prestare ascolto: in che modo la popolazione può tornare a stabilire con il luogo un rapporto denso di significato? Sono gli abitanti consapevoli del proprio contributo nella creazione dei paesaggi che abitano? È ancora possibile pensare il paesaggio come espressione collettiva di re­sponsabilità individuali? E ancora: come favorire la partecipa­zione degli abitanti nel governo del territorio? È per rispondere affermativamente a queste domande che l’associazione inglese ha ideato, promosso e diffuso le Parish Map[3]. Vediamo ora in cosa consistono.
Innanzitutto la scelta del nome: Parish Map (letteralmente mappa parrocchiale[4]) indica la parte più piccola e antica dell’organizzazione sociale della città, quel luogo in cui, da se­coli, le persone si ritrovano per incontrarsi. È il locale per ec­cellenza, quel luogo, scrive Clifford, «per il quale provi affetto, che per te ha un significato, del quale condividi qualche cono­scenza, per il quale facilmente puoi provare indignazione e senso di protezione, il quartiere che conosci, che in qualche modo ha contribuito alla tua formazione»[5]. Il locale, come detto precedentemente, può essere colto facendo attenzione ai dettagli, dando voce ai frammenti delle epoche passate che an­cora informano di sé il luogo, ma anche le trasformazioni del quotidiano, così come il lento mutare naturale. Saperi indivi­duali e storia collettiva dovranno incontrarsi nel racconto del luogo[...]
Le mappe di comunità si pongono l’obiettivo di fornire una rappresentazione identitaria del luogo, ovvero una mappatura in grado di offrire al lettore una visione del territorio capace di trasmettere non solo, e non tanto, il dise­gno preciso e dettagliato dei suoi confini politici piuttosto che della sua dimensione fisica, quanto la cultura ivi espressa dalla comunità, gli elementi riconosciuti come fortemente identitari e simbolici. Sulla mappa potranno trovare spazio anche racconti e credenze, memorie e desideri, timori e speranze. Prima di co­minciare un tale progetto sarà quindi necessario coinvolgere l’intera popolazione che vive nel luogo oggetto della rappre­sentazione, tanto quella residenziale quanto quella che, sebbene esterna, ha saputo stabilire con quel luogo un rapporto di intima appartenenza. Il punto di forza delle Parish Map consiste proprio nel pre­sentare il territorio così come percepito e vissuto dalle persone che lo popolano, evitando di scadere tanto nelle riduzioni fol­cloristiche diffuse dal mercato turistico e mediatico, quanto nelle astrazioni tipiche delle mappature tradizionali [...]
Un metodo generalmente utilizzato al fine di individuare il numero maggiore di elementi su cui discutere, è l’adozione di un questionario da sottoporre all’intera popolazione (non solo al gruppo direttamente coinvolto nella realizzazione della mappa). La lettura di questi questionari si rivela a volte sorprendente­mente ricca di dettagli altrimenti trascurati o considerati di poca rilevanza.
Una volta raccolti e selezionati, previa discussione, gli aspetti materiali e immateriali riconosciuti dal gruppo come fondanti l’identità del luogo, non rimarrà che scegliere il modo della loro rappresentazione. Non esiste infatti una procedura universale e ancora una volta sarà la creatività del gruppo a de­cidere una modalità espressiva piuttosto che un’altra. Non sono necessarie competenze specifiche; le Parish Maps, infatti, «non sono carte geodetiche, non devono cioè cercare di rappresentare nel modo più conforme ed equivalente la realtà. Sono mappe af­fettive, quindi l’interpretazione è molto libera, anche se un fondo geodetico (con pochi o nessun dettaglio) può rivelarsi utile come punto di partenza»[6]. Grazie a questa flessibilità, pe­raltro, le mappe possono essere adottate anche come progetto educativo da realizzarsi nelle scuole, tanto nelle primarie che in quelle secondarie. Sono ormai molti gli esempi di mappe create da gruppi di studenti adeguatamente seguiti da docenti e perso­nale esterno. È importante, anche in questo caso, coinvolgere non solo facilitatori in grado di guidare le varie fasi del pro­getto, ma anche, e soprattutto, le famiglie degli studenti, gli an­ziani, e tutti coloro che vogliano comunicare alle nuove genera­zioni un sapere locale che, se ignorato, andrebbe irrimediabil­mente perduto[7].
 


       *  D. Cinalli, Interpretare il paesaggio. Qualità territoriale e valorizzazione delle identità locali, Aracne, Roma 2011, pp. 226-236.
[1] D’obbligo, per un approfondimento sul tema delle mappe di comunità, la visita al sito www.commonground.org.uk
[2] Sono parole del rapporto illustrativo circa la Risoluzione 53 del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa sul Progetto preliminare di Convenzione europea del paesaggio, cit. in R. Priore, No people, no landscape. La convenzione europea del paesaggio: luci e ombre nel processo di attuazione in Italia, cit., p. 26.
[3] L’idea di realizzare una mappa di comunità venne adottato per la prima volta nel 2000 dall’amministrazione del West Sussex la quale, rispondendo all’iniziativa lanciata a livello nazionale dall’Associazione Common Ground, decise di promuovere la realizzazione di Parish Map come strumento che potesse favorire una riflessione identitaria dei luoghi condotta dagli stessi abitanti. Prese così vita il West Sussex Millenium Parish Map Project: 87 gruppi costituiti da oltre mille volontari crearono in questo modo 66 mappe identitarie del territorio, ciascuna delle quali orientate a cogliere quello che Common Ground definì carattere distintivo locale (local distinctiveness). Il successo di questa iniziativa ha condotto molte altre regioni ad adottare questa metodologia di sensibilizzazione degli abitanti al proprio territorio e la sua diffusione è stata così vasta da varcare nell’arco di pochi anni i confini nazionali. Ulteriori approfondimenti in: K. Leslie, Mapping the Millenium. The West Sussex Millenium Parish Map Project, West Sussex County Council, Chichester 2001; Id., A sense of place. West Sussex Parish Maps Project, West Sussex County Council, Chichester 2006.
[4] «La parrocchia ecclesiastica è stata la misura del paesaggio inglese fin dai tempi degli Angli e dei Sassoni. I confini, alcuni dei quali databili più di mille anni fa, spesso sono ancora rintracciabili; […] La “parrocchia” come giurisdizione civile appare negli anni Novanta dell’Ottocento come il più piccolo teatro della democrazia» (S. Clifford, Il valore dei luoghi, cit., p. 7).
[5] Ivi, p. 3.
[6] Aa.Vv., Per orientarsi, in S. Clifford, M. Maggi, D. Murtas, Genius loci. Perché, quando e come realizzare una mappa di comunità, cit, p. 61.
[7] Ulteriori approfondimenti sulla realizzazione delle mappe di comunità oltre al sito già citato dell’associazione Common Ground, sono reperibili visitando i seguenti siti: www.mappadicomunita.it; www.osservatorioecomusei.net; www.provincia.terni.it

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