Il progetto "Memorie urbane e mappe digitali"
Il progetto si propone di incrementare la
conoscenza e la capacità di utilizzo di alcune applicazioni presenti
nella rete
(in particolare Google Maps di cui si è realizzata anche una guida
esplicativa scaricabile qui) e di offrire agli adulti che frequentano
l'UNITRE
uno strumento per ricostruire ambienti, memorie, esperienze passate
della città
di Pavia che possono testimoniare e raccontare le principali
trasformazioni
urbanistiche, culturali e sociali di cui sono stati a volte testimoni a
volte
protagonisti. Il prodotto finale consiste nell’inserimento su una mappa
digitale della città di fotografie e filmati in cui non solo viene
raccontato
il passato della città, ma si formulano proposte per il suo sviluppo
attuale e
futuro, affiancandosi così all'approccio tipico delle mappe di comunità di cui ci occuperemo seppur brevemente nel prossimo paragrafo.
Quest'anno l'attenzione si è focalizzata sul fiume Ticino, nel tratto compreso tra il ponte dell'Impero e l'ormai decaduto idroscalo. Da una proficua e intensa partecipazione, anche emotiva, delle persone coinvolte, si è infine giunti alla rappresentazione di una mappa digitale descrittiva di alcuni dettagli ritenuti dai corsisti di rilevanza urbana, nei quali emergono tratti fortemente distintitivi del luogo, ma anche elementi ormai abbandonati alla brutalità delle generazioni che non hanno saputo prendersene adeguatamente cura. A corollario della mappa sono stati effettuati anche tre cortometraggi che corroborano l'intero lavoro di ricerca iconografica e bibliografica. La realizzazione dei video, inoltre, ha permesso ai partecipanti di acquisire una prima forma di conoscenza nell'utilizzo degli strumenti di ripresa e di alcuni aspetti della gestione digitale delle immagini.
Le lezioni, tenutesi durante primi mesi del 2012, hanno visto la presenza costante di dieci corsisti a fronte delle 15 iscrizioni previste. Alcune di queste sono state svolte lungo il Ticino, sede di numerose discussioni e generoso nell'offrire ai presenti spunti per nuove riflessioni. Le uscite hanno confermato ciò che in aula s'era da subito manifestato, ovvero un sincero coinvolgimento per le sorti di un luogo che seppur sfuggevoli a sguardi distratti hanno mostrato agli occhi dei partecipanti le sue aporie e le sue debolezze. Da questa consapevolezza è sorta anche una necessità di sviluppare in un prossimo futuro una possibile declinazione della mappa emotiva realizzata durante questo corso, che possa presentarsi quale guida per una nuova modalità di porsi nei confronti di un luogo che, in quanto tale, è patrimonio comune e le cui possibilità di informare di sé le generazioni a venire devono necessariamente poggiare sulla consapevole e approfondita conoscenza dei luoghi da parte della comunità che li abitano. A testimonianza dell'interesse che tale argomento ha suscitato va ricordata la richiesta di avere una lezione aggiuntiva per sistemare i testi e visionare i video. Il lavoro è tuttavia proseguito mediante uno scambio fittissimo di mail tra tutti i partecipanti. Tutto quanto presente è frutto del loro impegno e della passione che dovrebbe animare chiunque si avvicini alla propria città con l'intento di prendersene amorevolmente cura.
Quest'anno l'attenzione si è focalizzata sul fiume Ticino, nel tratto compreso tra il ponte dell'Impero e l'ormai decaduto idroscalo. Da una proficua e intensa partecipazione, anche emotiva, delle persone coinvolte, si è infine giunti alla rappresentazione di una mappa digitale descrittiva di alcuni dettagli ritenuti dai corsisti di rilevanza urbana, nei quali emergono tratti fortemente distintitivi del luogo, ma anche elementi ormai abbandonati alla brutalità delle generazioni che non hanno saputo prendersene adeguatamente cura. A corollario della mappa sono stati effettuati anche tre cortometraggi che corroborano l'intero lavoro di ricerca iconografica e bibliografica. La realizzazione dei video, inoltre, ha permesso ai partecipanti di acquisire una prima forma di conoscenza nell'utilizzo degli strumenti di ripresa e di alcuni aspetti della gestione digitale delle immagini.
Le lezioni, tenutesi durante primi mesi del 2012, hanno visto la presenza costante di dieci corsisti a fronte delle 15 iscrizioni previste. Alcune di queste sono state svolte lungo il Ticino, sede di numerose discussioni e generoso nell'offrire ai presenti spunti per nuove riflessioni. Le uscite hanno confermato ciò che in aula s'era da subito manifestato, ovvero un sincero coinvolgimento per le sorti di un luogo che seppur sfuggevoli a sguardi distratti hanno mostrato agli occhi dei partecipanti le sue aporie e le sue debolezze. Da questa consapevolezza è sorta anche una necessità di sviluppare in un prossimo futuro una possibile declinazione della mappa emotiva realizzata durante questo corso, che possa presentarsi quale guida per una nuova modalità di porsi nei confronti di un luogo che, in quanto tale, è patrimonio comune e le cui possibilità di informare di sé le generazioni a venire devono necessariamente poggiare sulla consapevole e approfondita conoscenza dei luoghi da parte della comunità che li abitano. A testimonianza dell'interesse che tale argomento ha suscitato va ricordata la richiesta di avere una lezione aggiuntiva per sistemare i testi e visionare i video. Il lavoro è tuttavia proseguito mediante uno scambio fittissimo di mail tra tutti i partecipanti. Tutto quanto presente è frutto del loro impegno e della passione che dovrebbe animare chiunque si avvicini alla propria città con l'intento di prendersene amorevolmente cura.
Inserire il backstage
Un approfondimento: le mappa di comunità*
In Inghilterra, nei primi anni Ottanta del
secolo scorso, l’associazione “Common Ground”[1],
al fine di preservare i tratti culturali significativi dei propri paesaggi,
sempre più aggrediti dalle logiche uniformanti della contemporaneità, decise
di impegnarsi nella valorizzazione delle identità locali attraverso il
coinvolgimento degli abitanti.
Il grande merito dell’associazione inglese
sta nell’aver riconosciuto, con largo anticipo rispetto all’attuale dibattito
sul paesaggio, l’importanza di riconoscere i tratti distintivi del luogo, ossia
quelle particolarità, impercettibili allo sguardo distratto, nelle quali si
celano significati e memorie che non è possibile trascurare se non si vuole
perdere l’identità immateriale dei luoghi.[...]
Il
rischio di vedere oscurate definitivamente le specificità locali di molti
paesaggi, ha così motivato l’associazione Common Ground a promuovere attività e
pratiche che prevedessero una rinnovata comprensione dei luoghi da parte degli
abitanti.
L’importanza di coinvolgere attivamente la
popolazione nei processi di lettura e interpretazione dei propri contesti di
vita rappresenta in tal senso un aspetto fortemente innovativo, che i fondatori
dell’associazione inglese hanno saputo cogliere con largo anticipo rispetto al
dibattito culturale a loro contemporaneo. Dobbiamo infatti ricordare che
Common Ground avanzava queste proposte già al principio degli anni Ottanta,
mentre il riconoscimento della loro validità dovrà essere fatto risalire alla
presentazione ufficiale della Convenzione europea del paesaggio avvenuta a
Firenze nel 2000; uno dei principi che orientarono la stesura di tale
documento legislativo prevedeva infatti la necessità di «incoraggiare la
popolazione ad una attiva partecipazione nei processi decisionali relativi ai
propri paesaggi»[2].
Molto spesso, sostiene Clifford, ci si rende
conto della ricchezza territoriale solo quando la sua sopravvivenza viene
messa in serio pericolo da azioni speculatorie e irresponsabili. A volte tale
consapevolezza raggiunge la coscienza degli abitanti quando ormai non v’è più
possibilità di recuperarla.
Emerge così la necessità di rendere nuovamente intelligibile alla popolazione l’intero patrimonio culturale espresso nel proprio paesaggio, assumendosi la responsabilità tanto della sua cura quanto della sua trasformazione [...]
Emerge così la necessità di rendere nuovamente intelligibile alla popolazione l’intero patrimonio culturale espresso nel proprio paesaggio, assumendosi la responsabilità tanto della sua cura quanto della sua trasformazione [...]
Da queste riflessioni sono sorte
nell’associazione inglese domande a cui non si è mancato di prestare ascolto:
in che modo la popolazione può tornare a stabilire con il luogo un rapporto
denso di significato? Sono gli abitanti consapevoli del proprio contributo
nella creazione dei paesaggi che abitano? È ancora possibile pensare il
paesaggio come espressione collettiva di responsabilità individuali? E ancora:
come favorire la partecipazione degli abitanti nel governo del territorio? È
per rispondere affermativamente a queste domande che l’associazione inglese ha
ideato, promosso e diffuso le Parish Map[3].
Vediamo ora in cosa consistono.
Innanzitutto la scelta del nome: Parish Map (letteralmente mappa
parrocchiale[4])
indica la parte più piccola e antica dell’organizzazione sociale della città,
quel luogo in cui, da secoli, le persone si ritrovano per incontrarsi. È il
locale per eccellenza, quel luogo, scrive Clifford, «per il quale provi
affetto, che per te ha un significato, del quale condividi qualche conoscenza,
per il quale facilmente puoi provare indignazione e senso di protezione, il
quartiere che conosci, che in qualche modo ha contribuito alla tua formazione»[5].
Il locale, come detto precedentemente, può essere colto facendo attenzione ai
dettagli, dando voce ai frammenti delle epoche passate che ancora informano di
sé il luogo, ma anche le trasformazioni del quotidiano, così come il lento
mutare naturale. Saperi individuali e storia collettiva dovranno incontrarsi
nel racconto del luogo[...]
Le
mappe di comunità si pongono l’obiettivo di fornire una rappresentazione identitaria
del luogo, ovvero una mappatura in grado di offrire al lettore una visione del
territorio capace di trasmettere non solo, e non tanto, il disegno preciso e
dettagliato dei suoi confini politici piuttosto che della sua dimensione
fisica, quanto la cultura ivi espressa dalla comunità, gli elementi
riconosciuti come fortemente identitari e simbolici. Sulla mappa potranno
trovare spazio anche racconti e credenze, memorie e desideri, timori e
speranze. Prima di cominciare un tale progetto sarà quindi necessario
coinvolgere l’intera popolazione che vive nel luogo oggetto della rappresentazione,
tanto quella residenziale quanto quella che, sebbene esterna, ha saputo
stabilire con quel luogo un rapporto di intima appartenenza. Il punto di forza
delle Parish Map consiste proprio nel
presentare il territorio così come percepito e vissuto dalle persone che lo
popolano, evitando di scadere tanto nelle riduzioni folcloristiche diffuse dal
mercato turistico e mediatico, quanto nelle astrazioni tipiche delle mappature
tradizionali [...]
Un metodo generalmente utilizzato al fine di
individuare il numero maggiore di elementi su cui discutere, è l’adozione di un
questionario da sottoporre all’intera popolazione (non solo al gruppo
direttamente coinvolto nella realizzazione della mappa). La lettura di questi
questionari si rivela a volte sorprendentemente ricca di dettagli altrimenti
trascurati o considerati di poca rilevanza.
Una volta raccolti e selezionati, previa
discussione, gli aspetti materiali e immateriali riconosciuti dal gruppo come
fondanti l’identità del luogo, non rimarrà che scegliere il modo della loro
rappresentazione. Non esiste infatti una procedura universale e ancora una
volta sarà la creatività del gruppo a decidere una modalità espressiva piuttosto
che un’altra. Non sono necessarie competenze specifiche; le Parish Maps, infatti, «non sono carte
geodetiche, non devono cioè cercare di rappresentare nel modo più conforme ed
equivalente la realtà. Sono mappe affettive, quindi l’interpretazione è molto
libera, anche se un fondo geodetico (con pochi o nessun dettaglio) può
rivelarsi utile come punto di partenza»[6].
Grazie a questa flessibilità, peraltro, le mappe possono essere adottate anche
come progetto educativo da realizzarsi nelle scuole, tanto nelle primarie che
in quelle secondarie. Sono ormai molti gli esempi di mappe create da gruppi di
studenti adeguatamente seguiti da docenti e personale esterno. È importante, anche
in questo caso, coinvolgere non solo facilitatori in grado di guidare le varie
fasi del progetto, ma anche, e soprattutto, le famiglie degli studenti, gli anziani,
e tutti coloro che vogliano comunicare alle nuove generazioni un sapere locale
che, se ignorato, andrebbe irrimediabilmente perduto[7].
* D. Cinalli, Interpretare il paesaggio. Qualità territoriale e valorizzazione delle identità locali, Aracne, Roma 2011, pp. 226-236.
[1] D’obbligo, per un
approfondimento sul tema delle mappe di comunità, la visita al sito
www.commonground.org.uk
[2] Sono parole del rapporto
illustrativo circa la Risoluzione 53 del Congresso dei poteri locali e
regionali del Consiglio d’Europa sul Progetto preliminare di Convenzione
europea del paesaggio, cit. in R. Priore,
No people, no landscape. La convenzione
europea del paesaggio: luci e ombre nel processo di attuazione in Italia,
cit., p. 26.
[3] L’idea di realizzare una
mappa di comunità venne adottato per la prima volta nel 2000
dall’amministrazione del West Sussex la quale, rispondendo all’iniziativa
lanciata a livello nazionale dall’Associazione Common Ground, decise di
promuovere la realizzazione di Parish Map come strumento che potesse favorire
una riflessione identitaria dei luoghi condotta dagli stessi abitanti. Prese
così vita il West Sussex Millenium Parish Map Project: 87 gruppi costituiti da
oltre mille volontari crearono in questo modo 66 mappe identitarie del
territorio, ciascuna delle quali orientate a cogliere quello che Common Ground
definì carattere distintivo locale (local distinctiveness). Il successo di
questa iniziativa ha condotto molte altre regioni ad adottare questa
metodologia di sensibilizzazione degli abitanti al proprio territorio e la sua
diffusione è stata così vasta da varcare nell’arco di pochi anni i confini
nazionali. Ulteriori approfondimenti in: K. Leslie, Mapping the Millenium. The West Sussex Millenium Parish Map Project,
West Sussex County Council, Chichester 2001; Id.,
A sense of place. West Sussex Parish Maps
Project, West Sussex County Council, Chichester 2006.
[4] «La parrocchia ecclesiastica
è stata la misura del paesaggio inglese fin dai tempi degli Angli e dei
Sassoni. I confini, alcuni dei quali databili più di mille anni fa, spesso sono
ancora rintracciabili; […] La “parrocchia” come giurisdizione civile appare
negli anni Novanta dell’Ottocento come il più piccolo teatro della democrazia»
(S. Clifford, Il valore dei luoghi, cit., p. 7).
[5] Ivi, p. 3.
[6] Aa.Vv., Per orientarsi, in S. Clifford,
M. Maggi, D. Murtas, Genius loci. Perché, quando e
come realizzare una mappa di comunità, cit, p. 61.
[7] Ulteriori approfondimenti
sulla realizzazione delle mappe di comunità oltre al sito già citato
dell’associazione Common Ground, sono reperibili visitando i seguenti siti:
www.mappadicomunita.it; www.osservatorioecomusei.net; www.provincia.terni.it
Nessun commento:
Posta un commento